Io adoro scrivere, ed ho sempre dato molta importanza alle parole. Ritengo che abbiano un grande potere, e debbano quindi essere usate con grande responsabilità (cit. zio Ben). Già: probabilmente appartengo ad una generazione che non si destreggia particolarmente bene nel comunicare a furia di emoticon di faccine o scimmiette… ma tant’è.
Le parole sono tanto più importanti, quanto diverso è lo stato d’animo della persona cui sono dirette; e quindi l’impatto conseguente.
Di recente, ad esempio, ho dovuto prendere una decisione difficile (direi chirurgica). Ho espresso tutti i miei dubbi ad una persona amica, temendo che questa decisione fosse stata troppo immatura; e questa persona mi ha risposto così:
Difficile descrivere cosa ho provato nel leggere queste parole. Direi un senso cristallino di gratitudine ed amicizia… e la mia autostima è decollata.
Erano le parole giuste, rivolte allo stato d’animo giusto, e che ne aveva un grande bisogno.
A volte (anzi spesso) basta davvero poco.
Not always so
Citando questa famosa frase di D. T. Suzuki, purtroppo però nella vita non è sempre così.
Accade anche il contrario: parole pesanti, pronunciate per giunta ad uno stato d’animo fragile.
Ultimamente ho incontrato un vero campione olimpico in questa specialità.
Una persona eccellente sul piano professionale, dotata di grande intelligenza ed anche di simpatia; ma convinta che la trasparenza sia il valore più importante in assoluto… e quindi priva di filtro tra neuroni e lingua.
Ecco: per quanto si voglia essere diretti e sinceri con una persona, la trasparenza non giustifica mai la mancanza di empatia.
Altrimenti, saremmo semplicemente persone trasparenti ma disumane.
Io la vedo così.
Anche perché:
Le parole, una volta dette, possono essere solo perdonate. Mai dimenticate.
Maneggiare con cura, insomma.
In tutti gli ambiti e quindi anche in azienda.
Le e-mail mandate a destinatari sbagliati o con messaggi ambigui, hanno creato più danni della grandine.
Cliccare “Rispondi a tutti” anziché “Rispondi al mittente”, è una trappola in cui prima o poi siamo cascati tutti.
Per questo credo convenga sempre mettersi nelle scarpe del destinatario, e immaginare di aprire il messaggio – prima di premere il tasto.
Il tasto giusto, ovviamente.