Non esistono, in qualsiasi lingua del mondo, due parole più pericolose di: “Bel lavoro”.
(Terence Fletcher, “Whiplash”)
E niente: l’altro giorno ho sognato la mia insegnante di matematica delle scuole medie, la signora Martini.
Una di quelle robe che dovrebbero restare ben seppellite nel subconscio; e invece…
Ho sognato di quella volta che spiegò il Teorema di Pitagora. A un certo punto si fermò, e mi chiese se era tutto chiaro.
Balbettai qualcosa di affermativo, ma poco convincente.
Al che lei mi fissò dritto negli occhi, e mi disse: “Bene, Focci… quando ho finito, vieni qui alla lavagna e ripeti tutto: parola per parola, numero per numero. Così vediamo se era davvero chiaro.” E lo fece sul serio! Chiuse la lezione con un “A te lo sproloquio!”; e mi chiamò alla lavagna.
Di sicuro ebbe l’effetto di aumentare al parossismo la mia attenzione su quanto spiegò in seguito (e di farmelo ripetere a pappagallo); ma a giudicare da quanto io abbia poi odiato la geometria e la matematica, dubito che questo metodo didattico sia stato efficace.
Whiplash
A ben pensarci, quel sogno lo feci pochi giorni dopo aver visto un bel film: “Whiplash”. E non credo sia un caso.
La pellicola – che consiglio sicuramente a chiunque non l’abbia ancora vista – racconta la storia di un giovane batterista jazz e del suo durissimo insegnante, Terence Fletcher, una specie di Sergente Hartman musicale.
Il ragazzo viene sottoposto a provocazioni e vessazioni e umiliazioni di ogni genere, al solo scopo di temprarlo e capire se ha la stoffa per diventare “un grande”.
Fletcher (interpretato dal bravissimo J. K. Simmons, premio Oscar 2015 per questo ruolo) usa metodi di non comune crudeltà psicologica. Come quando, subito prima del provino con la band, lo avvicina in corridoio con un sorriso complice: “Tranquillo! Goditela. Pensa a suonare ed a divertirti!”. Poi però, durante l’esecuzione, lo accusa davanti a tutti e duramente – in un crescendo di urla e improperi – di non andare a tempo… lanciandogli anche una sedia contro!, che il ragazzo evita per un pelo, scansandosi all’ultimo momento.
Verso la fine della pellicola, il “sergente Fletcher” giustifica il suo metodo didattico a partire da un episodio molto noto nel mondo del jazz: la quasi-decapitazione di Charlie Parker. E… Abbiate la pazienza di seguirmi!, perché anche questo episodio è (per chi già non lo conosca) piuttosto interessante.
Decapitare per educare
L’episodio di Charlie Parker e del piatto volante avvenne nel 1937, quando “Bird” era un giovane e promettente sassofonista di sedici anni che partecipava alla sua prima jam session importante.
Quella sera, sul palco del Kansas City’s Reno Club, era presente una vera e propria star: Jo Jones, batterista dell’orchestra di Count Basie, la più importante del paese.
Charlie aveva un sassofono nuovo di zecca, e si mise in fila… insieme ai tanti giovani promettenti che volevano calcare quel palco col grande professionista.
Toccò a Parker; e cominciò bene e in sicurezza: Jones sembrò gradire la disinvoltura nel fraseggio di quello sconosciuto sedicenne.
Ma poi Charlie finì per esagerare. Improvvisamente, su un cambio di accordo, si arenò… tentennando e quasi bloccandosi, come se cercasse disperatamente di acchiappare delle idee che gli sfuggivano impietosamente.
Jo Jones, esasperato, smise di suonare; prese uno dei piatti della sua batteria; e lo tirò verso il giovane in un gesto di impazienza e spregio. Alcuni dicono che mirò proprio a decapitarlo (!), altri che il piatto cadde “solo” ai suoi piedi; sta di fatto che, quando il piatto risuonò rumorosamente a terra, l’intero pubblico cominciò a ridere.
Parker fu costretto a lasciare il palco tra le lacrime di vergogna: il primo contatto della sua vita con veri professionisti era stato un fallimento!
“Bel lavoro”
Siccome Charlie Parker diventò poi quello che sappiamo essere diventato – cioè uno dei padri fondatori del genere bebop, molto ma molto più famoso di quel Jo Jones che per poco non lo decapitò – si direbbe che questo episodio non abbia pesato più di tanto sulla sua educazione. La tesi che espone il bizzarro docente in “Whiplash” anzi, è che esso sia stato cruciale e determinante:
Immagina quindi che Jones abbia invece detto: “Beh, è ok, Charlie. Va tutto bene. Bel lavoro”.
Al che Charlie pensa tra se e se: “Accidenti, ho fatto davvero un discreto lavoro, allora!”.
Fine della storia.
Niente “Bird”.
Questa, per me, sarebbe stata una tragedia assoluta.
Secondo Fletcher, insomma, Charlie Parker è diventato “Bird” perché dopo l’episodio del piatto non solo ha evitato di mollare, ma anzi si è esercitato ancora più duramente, ancora, e ancora, e ancora.
Questione di appartenenza
Sinceramente parlando, non mi sento di condividere questo metodo educativo, che definirei “del bastone senza la carota”.
Che si impari sempre dagli errori (o ci si rialzi quando si cade), non è automatico per nessuno. Anche il più tenace degli uomini resta pur sempre un uomo!
Chi sostiene di essere impermeabile ai rifiuti, secondo me, sta recitando una parte.
Del resto, 70mila anni di evoluzione hanno cablato nel nostro DNA il bisogno di appartenenza – lo spiegò Maslow – che è fondamentale per la nostra personale realizzazione. Quando veniamo rifiutati, ci sentiamo svuotati e disorientati, come fossimo stati cacciati dalla nostra tribù. Non è affatto detto che questo ci renda migliori.
Io ritengo invece che il metodo di insegnamento corretto stia nella giusta via di mezzo, laddove non bisogna “ungere” l’allievo, ma fargli capire dove sbaglia con fermezza e credibilità. Mostrando soprattutto una grande, grandissima passione per l’argomento… Perché passione e rabbia sono entrambe contagiose; ma la prima porta maturazione, mentre la seconda porta distruzione.
Ma allora Parker come diventò “Bird”?
Che poi, sempre restando in ambito musicale, mica tutti la pensano come Fletcher.
Il bravissimo batterista Peter Erskine, anzi, in un’intervista, parla proprio dei docenti come Fletcher:
Fare gli stronzi nell’ambito dello studio musicale, in definitiva, è controproducente. Anzitutto, la band non risponderebbe bene; poi, certi leader diventano un anatema per altri maestri che magari finiscono per essere giudici nei concorsi, e non voteranno mai quella band a causa del loro mentore.
Insomma: il danno è sia all’interno sia all’esterno dell’allievo.
Io credo quindi che Charlie Parker sia diventato “Bird” non tanto grazie a quel piatto lanciato in un fumoso club di Kansas City quasi ottant’anni fa, ma per quella magica miscela di…
- talento,
- introspezione,
- spregiudicatezza,
- esercizio,
- eclettismo,
- visione,
- tenacia,
- passione,
- originalità,
…che rende le persone geniali.
Poi, certamente, sul grande schermo del cinema funziona meglio il piatto che decapita! 😉